Tempio di Antas

Descrizione area archeologica di Antas

 

Introduzione

La valle di Antas si trova in territorio di Fluminimaggiore nella Sardegna sud occidentale; è dominata a nord dalle rocce calcaree di M. Conca S’Omu che si erge per 615m sul livello del mare; attraversato dal rio Antas, il suo territorio circostante è caratterizzato da splendide zone d’interesse floristico (lecci, sughere, lentischi, illatri ecc.) ultimi relitti del folto manto boschivo che un tempo ricopriva per intero la splendida valle. Nelle immediate vicinanze sono individuabili diverse aree minerarie dove già in epoche preistoriche venivano estratti minerali di piombo e ferro, fu questo principalmente uno degli interessi che spinsero genti diverse a insediarsi in zone interne e alquanto impervie come la valle di Antas. Per comprendere meglio come la Sardegna e in particolare questa zona, siano state teatro di numerose invasioni e colonizzazioni da parte di civiltà diverse nel corso di vari lustri, si deve risalire a milioni d’anni prima, è stata infatti la lenta sequenza degli eventi geologici che ne ha fatto una terra ricchissima sotto molti aspetti; isolata, ma al centro del bacino mediterraneo, era facilmente raggiungibile sia da oriente che da settentrione, con un clima ideale per la maggior parte dell’anno, ricca di anfratti e porti naturali, grotte carsiche da sfruttare come riparo. Fu soprattutto il suo  tesoro minerario che segnò il graduale popolamento fin dal Paleolitico dove inizialmente la selce ma poi la scoperta del grandioso giacimento di ossidiana nel M. Arci in provincia di Oristano (l’oro nero della preistoria ), diedero avvio allo sfruttamento del sottosuolo in epoche lontanissime. Proprio nella zona del Fluminese affiorano rocce antichissime risalenti ai primi periodi dell’era paleozoica ( 570 milioni di anni); racchiusi all’interno di questi giacimenti si trovano i resti fossili di straordinarie forme animali come Trilobiti, Archeociatidi, Briozoi, Brachiopodi, Ortoceratidi ecc… che posero le basi e diedero avvio alla lenta evoluzione che portò all’origine dell’uomo. 

 

Villaggio nuragico

L’area archeologica che ci si appresta a visitare ricopre un ruolo fondamentale per la storia del fluminese e dell’isola: fu sede a partire dall’età nuragica di un santuario nel quale si svolgevano i riti e le celebrazioni di un culto eroico: relativi a questo periodo rimangono i  ruderi di un piccolo villaggio e delle sepolture. L’area del villaggio si trova a circa 200 metri a sud – ovest del Tempio di Antas, secondo i dati degli scavi del 1966/67, risale a circa 1200 anni a.C. (Età del Bronzo). Si tratta di una serie di ambienti a pianta sub-circolare edificati con pietre di piccola pezzatura cementate con malta di fango, la parte superiore era ricoperta da un tetto conico di rami e frasche deterioratosi nel corso dei secoli. Tra i reperti sono stati rinvenuti manufatti di vasellame, punte e lame in ferro, piombo fuso, scorie di lavorazione del vetro e ossidiana. Il piccolo villaggio, cinto da un muro curvilineo venne parzialmente riadattato ed integrato in epoca tardo romana, tra il muro e le abitazioni sono state scoperte quattro tombe a cassone.

 

Le capanne affiancano un sentiero che collega le zone minerarie dell’Iglesiente con la costa occidentale, passando per la vicina Grotta di Su Mannau luogo dedicato al culto e tappa fondamentale dal mare all’entroterra. Nel sentiero, chiamato poi Antica Strada Romana, sono evidenti i tagli a sezione, realizzati per il passaggio dei carri a traino (di cui s’intravedono i solchi in alcuni punti) ricavati nella viva roccia. Il sentiero raggiungeva in breve tempo la cavità carsica, di notevole interesse speleologico, che ha uno sviluppo di oltre 8000 metri di cui circa 700 resi fruibili per percorsi turistici. La prima sala della grotta denominata “Sala archeologica”, fù per un lungo periodo un vero e proprio tempio sotterraneo dedicato al culto dell’acqua, simbolo di fertilità femminile e identificato nella Dea Madre portatrice della vita. Centinaia di frammenti di lucerne votive, ancora visibili, ne sottolineano l’uso religioso.

 

Necropoli

Le indagini di scavo hanno rilevato una lunga storia del santuario, come già detto in precedenza prima del monumentale Tempio romano e di quello punico nell’area in questione vi era un antichissima necropoli nuragica che sorgeva attorno ad un affioramento roccioso individuato come santuario; l’area funeraria era in uso nella prima età del ferro (IX – VIII sec. a.C.), si tratta di 3 tombe a pozzetto, scoperte nel 1984 durante una campagna di scavo profonde da 0.35 cm a 0.68 cm. con 0.80 cm. di diametro. In un dei 3 sepolcri il defunto era accompagnato da un bronzetto rappresentato nudo con le gambe leggermente flesse e una mano alzata in segno di benedizione, mentre con l’altra impugnava una lancia; una sorta di copricapo ricopre la sommità della testa. L’immagine è collegata a quella del Sardus Pater coniata successivamente nelle monete romane, esso và interpretato come culto degli antenati che adoravano Sardus, il figlio di Ercole, le cui vicende ci sono state tramandate dalle fonti antiche, egli arrivò dall’Africa settentrionale nella nostra isola alla quale diede il suo nome a capo di una moltitudine di coloni che vissero in simbiosi con gli indigeni locali. La statuina che quindi potrebbe rappresentare la più antica raffigurazione del Sardus Pater – Babai rivela chiaramente il mito legato alla figura di un progenitore della stirpe. Il Teonimo Babai, ridotto poi in età punica a Sid e successivamente romana a Sardus Pater, deve ascriversi ad ambito linguistico e culturale paleosardo, cioè nuragico. Questo culto doveva essere così profondamente radicato nelle popolazioni indigene che le successive conquiste da parte di cartaginesi e romani non riuscirono a cancellarlo ma ne rimasero coinvolte i primi assunsero la divinità paleosarda nel pantheon punico assimilandolo al loro Sid e facendo sorgere un nuovo santuario; gli altri facendo coniare una moneta con l’effige del Dio, che verrà ricordato ancora nella titolatura del tempio romano ai tempi di Caracalla. La tipologia dei pozzetti funerari, è di estremo interesse in quanto richiama l’unico altro esempio di sepoltura singola con queste caratteristiche presente in Sardegna che si trova a Monti Prama nei pressi di Cabras (OR); la località è famosa per il ritrovamento dell’unico esempio statuario in arenaria di grosse dimensioni (pugili, arcieri) risalenti al periodo nuragico. 

 

Tempio punico

Gli scavi archeologici del 1967-68 hanno messo in evidenza sotto la gradinata del tempo romano i resti di un edificio di culto cartaginese; questi già insediatisi nelle coste sarde alla stregua del loro popolo fondatore, i fenici, si spinsero verso la valle di Antas per sfruttarne appieno la risorse minerarie. La scelta dell’isola come terra d’approdo da parte dei fenici e poi dei cartaginesi non fu casuale, l’isola infatti trovandosi al centro del bacino del mediterraneo godeva di una posizione strategica, con approdi sicuri e utili a controllare passaggi o stretti di mare verso la Spagna e l’Europa, mete ambite per i commerci. L’edificio cartaginese venne costruito sul finire del V secolo a. C., e innalzato in onore della divinità punica Sid Addir Babay che secondo alcuni studiosi, impersonificava il dio indigeno venerato nel vicino santuario nuragico. I tratti murari superstiti relativi al tempio di Sid consentono di formulare ipotesi costruttive; il luogo di culto dovette essere in origine un semplice sacello rettangolare, accessibile sul lato sud orientale, all’interno di questo sul lato sud occidentale si elevava l’altare a cielo scoperto, costruito da un roccione sacro sul quale sono stati evidenziate tracce di bruciato che documentano i sacrifici animali alle divinità. Il sacello era compreso all’interno di un grandissimo Tèmenos quadrato di circa 68 metri di lato di cui sono visibili i resti; l’edificio fu probabilmente ristrutturato intorno al 300 a.C.. Tra il lato nord orientale e il Temenos un ambiente rettangolare ha restituito numerosi frammenti di sculture votive che ne hanno individuato l’area come deposito di ex-voto; fra questi una nutrita serie di iscrizioni dedicatorie; tra le particolarità riguardo le iscrizioni vi è che una buona parte vennero trovate distrutte si suppone ad opera degli stessi cartaginesi come segno d’oltraggio verso la madre patria per “mancato pagamento del soldo”. Nel tempio erano inoltre depositati oggetti aurei, amuleti egittizzanti e diverse monete in bronzo di zecche di Sicilia, Cartagine e Sardegna. Il tempio di Sid dovette proseguire il suo culto sino ad età tardo romana; nella sottostante gradinata d’accesso all’edificio romano sono stati infatti rinvenuti diversi elementi architettonici del sacello punico utilizzati probabilmente come materiale da riempimento, quando avevano perduto però la loro funzione votiva; si esclude perciò una distruzione violenta dell’edificio templare da parte dei romani. 

 

Tempio romano

Il tempio punico doveva essere ancora in uso quando ebbe inizio la fase romana iniziata nel primo sec. a.C. sotto il dominio dell’imperatore Ottaviano Augusto; le caratteristiche architettoniche del primo edificio templare di epoca romana sono ricordate nella moneta commemorativa che egli fece coniare tra il 39 e il 15 a.C. con l’effige del Sardus Pater e quella del propretore della Sardegna Marco Azio Balbo; dagli studi fatti si è potuto risalire solo in minima parte alle caratteristiche architettoniche del tempio Augusteo, era comunque vistosamente decorato con antefisse raffiguranti personaggi e demoni alati, lastre di rivestimento, gocciolatoi e sculture frontonali, era inoltre coronato da un frontone triangolare.

 

Il primo edificio templare versava in grave stato di rovina quando venne riorganizzato il suo restauro sotto il dominio dell’imperatore Caracalla, come ci svela l’iscrizione latina. 

 

I dubbi iniziali della sua attribuzione a quest’ultimo nacquero dal fatto che altri 3 imperatori portavano la titolatura Marcus Aurelius Antoninus, ed erano Commodo, Caracalla ed Elagabalo; l’epigrafe venne posta tra il 212 e il 217 d.C.(morte dell’ imperatore Caracalla a Carre), periodo in cui egli era il solo imperatore. in carica. Della divinità locale rimangono solo tre lettere Bab, ma il nome completo era di sicuro Baby o Babay; l’ultimo nome sull’epigrafe si suppone fosse il dedicante e quindi o governatore della provincia, o un magistrato cittadino oppure un sacerdote addetto al culto imperiale.

 

L’iscrizione completamente originale conferma la datazione del tempio romano al III secolo d. C: in onore dell’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto Pio Felice (titolatura di Caracalla) il tempio del Dio Sardus Pater Babi, rovinato per l’antichità fu restaurato a cura di Quinto, Celio o Procuro.

 

Scoperta del Tempio

L’effetto sorpresa che si presenta agli occhi dei visitatori è di sicuro piacevole, fu probabilmente la stessa sensazione che pervase l’animo del Generale Alberto Lamarmora quando per primo giunse in questa splendida valle nel 1838, circondata allora da una pittoresca foresta di sughere e lecci egli notò un ammasso di frammenti, colonne e capitelli che ipotizzò si trattasse di un santuario extraurbano legato alla mitica e mai trovata città mineraria di Metalla; questa venne fondata dai romani ed è citata nell’itinerario Antoniniano a metà strada tra Solki (attuale S: Antioco) e Neapolis appena sotto il Golfo di Oristano. Il Lamarmora fu uno dei tanti studiosi che si occuparono della posizione del Tempio del Sardus Pater a partire nel 1580 dal vescovo sassarese Gianfranco Fara; il Tempio infatti compariva nell’edizione di un antico testo del famoso geografo egiziano Tolomeo dove venivano appunto elencate decine e decine di località sarde tra le quali erano segnate Tharros, il fiume Tirso, Othoca, e il Sardopàtoros ieròn (Tempio del Sardus Pater). Il Lamarmora ebbe il merito di dare una descrizione del tempio basata sulla sua diretta conoscenza e sui dati fornitigli dal prestigioso architetto cagliaritano Gaetano Cima, il quale eseguì una planimetria e una ricostruzione grafica del tempio (vedi pannelli espositivi). Dopo secoli di ricerche e proposte azzardate quanto mai improbabili sull’ubicazione del tempio, nel 1967/68 ebbe inizio la campagna di scavo a cura della soprintendenza archeologica di Cagliari, sotto la direzione del prof. Ferruccio Barrecca e con la collaborazione dell’istituto di studi del Vicino Oriente dell’università di Roma; i lavori si conclusero nel 1976 e gli scavi ripresero 15 anni dopo ad opera di Antonio Zara e Giovanna Ugas. A questi studiosi và il merito di aver restituito alla valle di Antas il monumento che la pietà religiosa antica aveva innalzato alla massima divinità dei sardi. L’ultima campagna di scavo risale al 2003/04, una serie d’interventi hanno consentito il ripristino dell’area circostante il tempio e la ripulitura del villaggio nuragico. Lo studio ha permesso attraverso una nuova stratigrafia di ricostruire scientificamente le fasi di occupazione e le vicende del monumento; durante lo scavo sono state individuate altre due tombe a pozzetto e tutta l’area ha restituito numerosi e interessantissimi materiali sia di epoca nuragica, che punica e romana. I nuovi scavi , realizzati sotto la direzione del dott. Paolo Bernardini e della dott.ssa Michela Migaleddu, sono tutt’ora in fase di studio.

 

Pronao

Il Tempio del Sardus Pater ha mantenuto l’orientamento del Tempio Punico (da sud-est a nord-ovest) e imponeva ai fedeli l’ascesa al podio mediante un ampia gradinata, questa si componeva di vari ripiani; nel quarto ripiano si elevava l’altare sacrificale secondo i canoni rituali romani nei quali sacrifici venivano fatti all’esterno dei templi. Il podio è lungo circa 20 metri e si suddivide in tre parti Pronao, Cella e Adyton Bipartito. Il Pronao profondo circa 7 metri presenta il prospetto tetrastile per la presenza delle 4 colonne frontali, le colonne che hanno un altezza di circa 8 metri erano costruite in calcare locale;durante i lavori di ricostruzione alcune parti mancanti sono state ricostruite; hanno basi attiche e sono sormontate da capitelli in stile ionico, questi si differenziano dalla forma canonica per la mancanza dell’abaco e del canale delle volute, l’insolito modello era dovuto probabilmente a maestranze locali svincolate dai modelli in uso nella capitale , in contatto con esperienze africane. Le deviazioni del modello ionico si differenziano anche nel fusto liscio e non scanalato. Il pavimento del pronao risulta completamente distrutto dagli interventi clandestini.

 

Cella

In fondo al Pronao rimangono i resti del muro nel quale si apriva la soglia d’ingresso lunga 2 metri; la cella, alla quale potevano accedere solo i sacerdoti, è decorata da pilastri addossati ai muri perimetrali allo scopo di sostenere le travi del tetto,il pavimento presenta un mosaico che ne copre l’intera superficie ed è realizzato con un ordito a file parallele, una fascia di raccordo bianca e un

 

Bordo nero che delimita la parte centrale integralmente bianca. Alla cella oltre che dal pronao si può accedere anche dai due ingressi laterali posti sui lati sud orientale e sud occidentale della stessa. Nell’ingresso sud occidentale è ben conservato l’architrave monolitico, nel lato inferiore sono visibili le cavità di forma circolare per l’inserimento dei cardini. Nell’ingresso sud orientale è visibile nella soglia del primo gradino, un particolare incastro chiamato a “coda di rondine”in cui erano colate le grappe di piombo che servivano come sistema di collegamento dei blocchi.

 

Adyton

Nella parte in fondo alla cella due piccoli ingressi i mettono nei due vani che formano l’adyton bipartito. Davanti a questi si aprano 2 bacini quadrati nei quali si può discendere attraverso 3 gradini, le due vaschette venivano colmate di acqua lustrale per effettuare le cerimonie di purificazione (Abluzioni), all’interno si notano i residui del fine stato di cacciopesto che le impermeabilizzava. Uno dei due vani ospitava la statua in bronzo di Sardus di cui venne ritrovato solo il dito della mano che in base alle proporzioni suggerisce le dimensioni di 3 metri del simulacro. L’altro ambiente si suppone potesse ospitare una seconda statua, forse MKERIS, padre di Sardus. Il Lamarmora ai tempi del suo resoconto nel ritrovamento ad Antas, stabili che il tempio era in origine coperto da un tetto di tegole piatte coperte nelle connessure da cappi con le estremità ornate d’antefisse di terracotta, come si è già visto nella ricostruzione grafica. I doni votivi ritrovati durante gli scavi sono molto abbondanti: statuette in bronzo integre e ridotte ai piedi raffiguranti Ercole e altre divinità, lance in ferro (chiaro attributo di Sardus) 42 monete repubblicane, 1103 monete imperiali, ed l’importantissima tabella bronzea con dedica al Sardus Pater che costituì la prima spia del culto praticato nel santuario di Antas

 

La conclusione del millenario culto di Babai – Sid – Sardus si colloca intorno al IV sec. d. C. quando cioè il cristianesimo era già affermato nelle principali città costiere, si presume che il culto venne via via assorbito dalla devozione a S. Angelo documentata nella località sita in prossimità della Valle di Antas. 

 

Cave romane

Le cave romane, da cui venivano estratti i blocchi utilizzati per la costruzione del tempio si raggiungono con una breve passeggiata di circa 20 minuti, il calcare è di tipo poroso, con una struttura non molto rifinita, infatti le parti del tempio venivano stuccate una volta messe in posa. Le lavorazioni avvenivano con martello e scalpello, mentre il trasporto si effettuava, probabilmente con l’uso di carri a buoi. Nelle cave sono ancora ben visibili le linee di taglio che si seguivano per estrarre i blocchi calcarei.

 

Questa splendida valle offre a te visitatore attento un paesaggio che và ben oltre l’aspetto storico e culturale, sensazioni mistiche e una sacralità quasi tangibile sono le emozioni che le popolazioni del passato avevano già avvertito a suo tempo. 

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